tavolo-sedie-sala-riunioni-vuota-di-giorno

Supervisione ai colleghi che praticano psicoterapia ad orientamento psicodinamico

Quando si chiede una supervisione?

Quando uno psicoterapeuta porta ad un collega piu esperto materiale clinico di una o più sedute di un proprio paziente, allo scopo di essere sostenuto ed aiutato nella conduzione del caso.

La supervisione avviene sostanzialmente su 3 piani:

  1. Il primo e fondamentale è quello che va sotto il nome di indagine del CONTROTRANSFERT, che è a sua volta comprensivo di tutti gli elementi emotivi ed affettivi emersi nella mente del terapeuta durante le sedute con il paziente.
  2. Il secondo si riferisce alla discussione degli aspetti PRATICO-METODOLOGICI specifici dell’orientamento di formazione.
  3. Il terzo riguarda i riferimenti TEORICO-CLINICI sempre del medesimo orientamento.

Al termine CONTROTRANSFERT nei decenni sono state date varie definizioni. Per i nostri scopi, ciò che deve essere chiaro al terapeuta che si appresta ad affrontare questo mestiere è il seguente concetto: nel momento in cui egli entra in contatto con il paziente, la sua mente inizia a funzionare a più livelli.

È cosa nota che il paziente comunichi sempre, non soltanto durante il colloquio della seduta, e non sempre solo verbalmente. Comunica fin da quando prende contatto con il terapeuta per la prima consultazione, sia che avvenga telefonicamente o per email.

Quindi, fin dall’inizio, le attività in cui il terapeuta è impegnato sono

ASCOLTO (parole e loro contenuto, cambiamento del tono della voce, variazione del tono della voce,accelerazione o rallentamento del flusso verbale, silenzio, pianti, risate, sospiri….)

OSSERVAZIONE ( gesti, movimenti, postura e tutto ciociò che fa parte del paraverbale)

A partire da ascolto e osservazione, si attivano nel terapeuta, simultaneamente, i vari livelli di funzionamento mentale che si possono cosi sintetizzare

A) livello di comprensione sia letterale che metaforica di quanto il paziente sta comunicando ( es. Parlare della fatica di trovare un parcheggio può significare metaforicamente la fatica di venire in seduta e trovare in essa una propria “collocazione”) da cui

B) livello di individuazione del reale oggetto della comunicazione

C) valutazione del grado di egosintonicità del paziente rispetto ai vissuti espressi

D) stato di attenzione per quanto riguarda vicinanza o distanza relazionale con il terapeuta

E) registrazione di tutte le personali reazioni emotive che il contatto con il paziente fa emergere al proprio interno: interesse, curiosità,irritazione, noia, attrazione, fastidio, disagio ecc.

Non solo. In seduta possono risvegliarsi nel terapeuta ricordi della propria vita, similitudini esperienziali, aspetti personali di vulnerabilità. Possono verificarsi identificazioni e proiezioni, tanto per citare i più comuni meccanismi psichici.

Inoltre, la vita stessa del terapeuta, come quella di tutti gli esseri umani, attraversa fasi di serenità, di difficoltà, di sofferenza, di vitalità, di stanchezza.

È innegabile, per esempio, che se il terapeuta sta passando un periodo di lutto, non vivrà la seduta e il rapporto con il paziente allo stesso modo in cui lo farebbe se vivesse un momento di grande contentezza per un evento felice.

Per esemplificare il concetto sono ricorsa a due situazioni sicuramente estreme, ma questo vale per tutte le oscillazioni di umore, le variazioni giornaliere ed esistenziali che il terapeuta subisce e di cui deve essere sempre consapevole per soppesarne l’eventuale incidenza/interferenza nel processo terapeutico.

Pertanto, considerando l’ascolto e l’osservazione dei singoli elementi verbali e paraverbali, assemblati e presentati nel corso del colloquio come fattori attivanti il multifunzionamento mentale, è facile comprendere l’impegno e la fatica da parte del terapeuta. A maggior ragione, al terapeuta con poca esperienza, può succedere di sentirsi sommerso dal carico di stimoli esterni e delle personali risposte interne. Di sentirsi perciò confuso, disorientato, a volte bloccato e incerto sul modo di procedere.

La supervisione serve a dipanare questa matassa, a separare per poi riunire i vari pezzi che compongono l’insieme unico della seduta, contestualmente all’andamento globale del processo terapeutico.

In sintesi, si può affermare che la seduta terapeutica si svolga su un DOPPIO ASCOLTO da parte del terapeuta.

Da un lato, abbiamo il materiale che proviene dal paziente, e quindi dall’esterno.

Dall’altro, il materiale che proviene dall’interno, attivato a sua volta da quello esterno.

Esiste sempre una connessione logica di significati fra ascolto interno ed ascolto esterno. Così come esiste fra i vari livelli di funzionamento mentale.Tuttavia, talvolta, al terapeuta sembra che queste connessioni vadano smarrite.

La funzione della supervisione consiste proprio nel trovare insieme, terapeuta e supervisore, i legami che danno un senso a quanto avviene in seduta fra terapeuta e paziente.

Da ciò si evince che il cuore del processo terapeutico è la relazione terapeuta-paziente, nella quale confluiscono e si incontrano due mondi interni: quello del.paziente e quello del terapeuta.

Tale incontro permette al paziente di affrontare insieme vissuti, esperienze e sentimenti che per la loro dolorosa intensità e traumaticità, sono rimasti nella mente non elaborati, tenuti lontani dalla consapevolezza, non pensati. Contenuti “indigesti” che, proprio perché tali, provocano disagio, sofferenza,paure, blocchi emotivi, comportamenti disfunzionali e disadattivi alla vita.

Durante l’incontro, tutto ciò che è sempre stato “impensabile” e intollerabile viene rivisitato insieme, rielaborato e reso pensabile. In una parola bonificato. Ciò che aveva sovrastato la mente del paziente, bloccando aree importanti di funzionamento, può essere trasformato in un vissuto che ora ha un suo senso e perdere la specifica natura di malignità boicottatrice del benessere.

Soltanto in questo modo si può provocare un cambiamento.

Generalmente, si è soliti raffigurare paziente e terapeuta come due insiemi che si uniscono ( A e B) La zona di intersezione rappresenta l’incontro terapeutico.

Nel momento in cui il terapeuta si trova in difficoltà e chiede aiuto al supervisore, quest’ultimo, portatore anch’egli del suo mondo interno, interviene esattamente nella zona intersecante.

Momentaneamente, o comunque per la durata della supervisione, il supervisore agisce come una sorta di terzo insieme (C).

Egli osserva quanto avviene tra A e B con quella distanza che il terapeuta, imbrigliato nei dubbi e nelle insicurezze, ha perduto. Dopo di che, unisce il proprio pensiero a quello del terapeuta, apportando il contributo della propria esperienza, dei proprii vissuti e della posizione privilegiata di cui gode di “super partes”.

Insieme , “sentono”, ragionano, riflettono, lasciano emergere sensazioni e pensieri sul materiale. Fanno ipotesi. Allargano le aree di osservazione e indagine. Creano nuove visioni e prospettive.

In questo modo il supervisore aiuta il terapeuta meno esperto a migliorare l’ascolto, ad affinare la comprensione dei vari livelli di funzionamento mentale, a favorire un piu preciso inquadramento psicodinamico del caso, a focalizzare gli obiettivi da raggiungere.

Teniamo presente che questi ultimi non sono assoluti e immodificabili, ma sempre variabili e rivedibili rispetto al percorso interiore del paziente e agli eventi o cambiamenti esterni che possono verificarsi nel corso della vita.

ASPETTI METODOLOGICI

Allo scopo di aiutare il terapeuta, è utile includere nella supervisione l’indicazione dell’uso più adeguato degli strumenti metodologici a disposizione del terapeuta ( chiarificazione, confrontazione, interpretazione…)

In particolare si valuta insieme quale dell’uno o dell’altro usare, ma soprattutto quando. Succede spesso, infatti, che un intervento sia corretto dal punto di vista contenutistico, ma che sia effettuato nel momento sbagliato, il che ne annulla l’efficacia ( timing).

Per esempio, il terapeuta coglie un collegamento chiaro e mirato fra un sentimento espresso in una circostanza del presente ed un identico sentimento riferito ad un episodio simile del passato.

Se si comunica la rilevanza dell’analogia cosi pregna di significato quando il paziente non è ancora “pronto”, cioè quando non ha ancora raggiunto la necessaria capacità di contatto con se stesso, o il necessario livello di consapevolezza, oppure se non ha ancora raggiunto la sufficiente flessibilità per cogliere i nessi causali tra un evento e l’altro, oppure se la costruzione del rapporto con il terapeuta è ancora iniziale, allora l’intervento risulta prematuro o intempestivo. Potrebbe non produrre nessun effetto di messa a fuoco di una determinata dinamica. Potrebbe risultare inutile o in certi casi, dannoso, rafforzando, per esempio, difese che si stavano allentando, o producendo un calo di fiducia nelle capacità del terapeuta o altri effetti che comunque finiscono per interferire con il processo di cambiamento che è ciò che è fondamentale per il benessere dell’individuo.

RIFERIMENTI TEORICI

Infine ricordiamo che ogni orientamento clinico è sostenuto da specifici sistemi teorici con relativi autori di riferimento. Nel contesto della supervisione non mancano confronti fra il materiale riportato e le varie teorie. Pertanto, se ritenuto utile, l’analisi del transfert, del controtransfert e la valutazione degli aspetti metodologici possono essere integrati da suggerimenti di lettura da parte del supervisore con indicazioni bibliografiche.

Dott.ssa Maria Rita Pederzani

Print Friendly, PDF & Email